Spagna Contemporanea, núm. 24, 2003

Por Marco Cipolloni.

  In Spagna, per una serie di ragioni, relative alla storia politica del Novecento e all’organizzazione istituzionale dei centri di ricerca e documentazione e degli studi accademici, si è sviluppato un rapporto peculiare e peculiarmente forte tra: 1) coscienza professionale degli storici (difesa dell’aútonomia); 2) tensione verso l’innovazione e l’internazionalizzazione del dibattito storiografico e 3) propensione a individuare come elemento essenziale per una necessaria riformulazione dei metodi e dei saperi storici (superamento del binomio tra erudizione e propaganda) l’ipotesi di una rigorosa storia della storiografia.

   Dopo il franchismo gli storici spagnoli, sia quelli sopravvissuti alla dittatura e rinati con la democrazia, sia quelli delle nuove generazioni, hanno sperimentato vari orientamenti e hanno variamente aggiornato le mappe del fare storia di Spagna (nell’ultimo decennio le sezioni monografiche della rivista Ayer della Asociación de Historia Contemporánea, frutto lei stessa di questo riassetto, hanno fatto bilancio di molti di questi riorientamenti). In complesso gli storici della democrazia non hanno preteso, come aveva fatto il regime, di riscrivere la storia, ma hanno ritenuto essenziale riscriverne parti e soprattutto rileggere criticamente la storiografia.

   Più degli altri gli storici sociali si sono sentiti particolarmente attratti da questo compito di rilettura e ripensamento epistemologico. Si tratta di una vocazione comprensibile ma molto peculiare della storia sociale spagnola (poichè altrove la storia sociale ha coinciso con una stagione più marcatamente ideologica e dunque è stata percepita e vissuta, dai suoi stessi artefici, più come attacco al sistema che come argomento in favore della necessità di un sistema istituzionalizzato). In Spagna, il bilancio della storia sociale, dalla sua fondazione negli anni Cinquanta come storiografia di opposizione, alla sua ridefinizione dopo il franchismo come possibile framework del rinnovamento storiografico, è così diventato l’occasione per una riflessione sulla storia della storiografia. Lo hanno testimoniato in questi ultimi anni diverse iniziative editoriali: una collana e un’antologia di storia sociale, la ristampa del pionieristico ¿Cenicienta o princesa? di Julián Casanova e, soprattutto, l’ambizioso progetto Colección Historiadores dalla neonata editoriale Urgoiti (formatosi attorno a questo progetto e in funzione di esso).

   Mentre la riflessione di Casanova e l’antologia qui scelta per rappresentare e segnalare la collezione Historia social fanno per così dire storiografia della storia sociale, riproponendone e ridiscutendone ragioni e percorsi, Historiadores intende trapiantare questa riflessione ed estenderli (almeno idealmente) all’intero corpus della storiografia avente per oggetto la Spagna. Per far questo, la tradizione della storia sociale (spesso materialista e diálettica) deve necessariamente dialogare con i filoni e le correnti liberali che avevano a lungo monopolizzato il panorama delle inquietudini storiografiche (in particolare la filosofia della storia e la storia delle idee; Ortega y Gasset lettore di Dilthey, tanto per capirci).

   Nonostante il catalogo che presenta la collezione si presenti di fatto come un piccolo libro, recensire un progetto editoriale è ovviamente qualcosa di diverso rispetto a recensire un libro o una serie di libri.

   L’idea, «una biblioteca de clásicos de la historiografía española», è al tempo stesso ambiziosa e semplice. Si tratta di fornire alla storia della storiografia spagnola coscienza metodologica e basi material, attraverso edizioni critiche rigorose e moderne, che rendano accessibili agli storici delle nuove generazioni se non proprio tutti i classici della storia e della storiografia spagnole (mancano all’appello nomi di indubbio rilievo come Ortega y Gasset e Carande, Castro e BatailIon, ma anche storici del Settecento come Lázaro Carreter o Caso González) almeno una significativa selezione (quaranta opere di altrettanti autori, da integrare con una seconda serie di analoghe proporzioni) dei testi chiave che, per varie ragioni, non hanno avuto in tempi recenti una circolazione editoriale pari alla loro importanza e/o al loro valore.

   Le assenze sono molte (mi sono limitato a segnalare quelle che, personalmente, mi dolgono di più, in quanto hanno letteralmente vertebrato il mio personale rapporto con la storia di Spagna, ma sarebbe fin troppo facile allungare l’elenco con altri nomi di indubbio peso, da Salvador de Madariaga a Claudio Sánchez Albornoz, da Julio Caro Baroja agli storici dell’ebraismo), ma se in tempi ragionevoli i fautori della lodevolissima iniziativa riusciranno a pubblicare con un rigore filologico prossimo a quello promesso anche solo la metà dei volumi da loro inseriti in catalogo, l’iniziativa è senz’altro destinata a segnare una svolta epocale nella storia della storiografia spagnola, offrendo a essa, per la prima volta, un coerente repertorio di testi e di strumenti di analisi, potenzialmente in linea con i più moderni orientamenti della critica testuale (edizione genetica, teoria della ricezione, comparazione tra versioni autorizzate diverse e successive, etc.).

   Avendo avuto diretta esperienza (attraverso la Colección Archivos) di una iniziativa editoriale per molti aspetti analoga, posso testimoniare che il metodo può funzionare e che, specie se i responsabili dei diversi volumi comunicano tra loro, le sinergie disciplinari da esso rese possibili e favorite possono consentire un vero e proprio salto di qualità, sia dal punto di vista strettamente filologico (storia della scrittura) che da quello interpretativo (storia della lettura).

   Intendiamoci, come è forse inevitabile in un progetto elaborato da storici oltre che destinato a storici, l’identità scientifica della collezione non è in prima battuta filologica (la filologia è vista come strumento, più che come fondamento e le note di edizione, anche quando sono numerose, riguardano più il contesto che il testo). La presentazione che apre il catalogo collega la nuova «sensibilidad hacia el carácter histórico de la ciencia» e i «múltiples modos de hacer historia» all’incontro tra «historia social e historia de ideas». La mossa è sicuramente necessaria e l’incontro annunciato è sicuramente auspicabile e potenzialmente fecondo sul piano dei contenuti, ma è anche tutt’altro che facile sul piano dei metodi e dei linguaggi (e proprio per questo irto di ineliminabili difficoltà e malintesi).
(…)

   Raccogliendo tutti questi spunti, ce n’è insomma più che abbastanza per collocare il dialogo tra storia sociale e storia delle idee non già tra le basi, ma tra gli obiettivi più utopicamente ambiziosi del progetto di Urgoiti, un objettivo che sarà parzialmente realizzabile e non del tutto velleitario solo se in corso d’opera il progetto saprà raccogliere almeno una parte delle inquietudini filologiche che solleva, sostanziandosi, in modo molto consapevole, esplicito e diretto, di adeguate basi metodologiche di tipo ecdotico, editoriale e testuale. Tra gli orizzonti più stimolanti potrebbe trovare posto per esempio il tema della riscrittura (penso ai citati esempi di Carande e Castro) e, più sullo sfondo, quello di un confronto serrato sugli scarti prospettici e metodologici tra edizione critica e critico-genetica di testi d’autore ed edizione critica di documenti storici (il che segna quasi un ritorno alle origini umanistiche della filologia moderna).

   Solo se saprà almeno in parte raccogliere stimoli e sfide di questa natura l’identità scientifica del progetto potrà porsi per davvero in essere, offrendo al dialogo tra le diverse anime che lo vertebrano una base materiale e un concreto terreno di confronto.

Il rischio, come sempre in questo tipo di iniziative, è che i responsabili dell’edizione di ciascun volume finiscano per fare scelte di edizione del tutto personali, producendo magari ottimi titoli, ma indebolendo di fatto l’identità della collana. Un altro rischio, legato alla formula che prevede un opera per ciascun autore, è quello che la collezione diventi bajo disfraz una serie di monografie su singoli storici, con annesso botón de muestra della produzione del biografato. Non che una collezione di biografie intellettuali di storici spagnoli con annessa antologia non possa essere utile, ma potenzialmente Historiadores è molto più di questo e sarebbe davvero un peccato se il suo contributo alla causa della storia della storiografia spagnola finisse per ridursi a una galleria di profli, destinati a documentare nell’insieme l’evoluzione (e le involuzioni) del mestiere e della sua autonomia relativa.

   Fatta questa doverosa premessa, vale la pena di uscire dal piano delle astrazioni per valutare con attenzione sia i priori volumi usciti che le scelte di testi, utori e curatori anticipate dal catalogo.

   Riordinati cronologicamente i titoli scelti come rappresentativi degli interessi storiografici dei rispettivi autori includono opere di storici contemporanei, ma non sempre (anche se spesso) dedicate alla Spagna contemporanea. La collezione opta, anzi, per una definizione così ampia di storia di Spagna da proporre, di fatto, una nozione più geografica che storico-culturale, con il conseguente rischio di rimettere in circolazione, al di là delle intenzioni, vecchie mitologie identitarie legate al territorio. Più che discutibile (in quanto specchio semi-involontario di un perdurante essenzialismo), la scelta è filologicamente più che difendibile, dato che riflette una visione più tradizionale che tradizionalista, condivisa, per tradizione prima e più che per tradizionalismo, da molti degli autori antologizzati (tale visione è del resto resa attuale dal fatto che a essa rendono omaggio vari manuali in commercio, a cominciare da quello, diffusissimo, di García de Cortázar).

   Comunque sia, mentre l’antologia della collezione Historia Social parte dalla edad media, Historiadores include anche numerosi studi di archeologia e storia romana. Per contra, sono pochine, specie per una collezione intitolata Historiadores, le opere generali e di storiografia (anche se un’opera di questo tipo, Historia General de España: Discurso preliminar, di Modesto Lafuente, 1850, perfettamente coerente con gli obiettivi della collezione è stata significativarriente scelta per la prima uscita).

   In conformitá con gli interessi tipici della storiografia e dell’erudizione storica delta Seconda Restaurazione, quando la storia era terreno d’incontro tra pochi protoprofessionisti e un vario panorama di dilettanti di gran lusso, che comprendeva politici, aristocratici, giornalisti, antiquari e collezionisti, vari volumi sono dedicati all’epoca medievale e alla nascita feudale della nazione e della nozione di Spagna (con opere come El régimen señorial y la cuestión agraria en Cataluña durante la Edad Media di Eduardo Hinojosa, 1905; El problema cerealista en España durante el reinado de los Reyes Católicos 1475-1516 di Eduardo Ibarra, 1917).

   Meno di quello che ci si aspetterebbe le opere sull’epoca imperiale, i siglos de oro e l’antico regime, moltissimi, viceversa, i volumi dedicati all’Ottocento, sia studiato da contemporanei, che da storici del Novecento, relativamente pochi i volumi sulla storia del secolo XX (anche in conseguenza della decisione di limitare la scelta ad autori defunti).

   La collezione comprende anche manuali e storie generali, abbracciando così un ventaglio di generi che va dalla monografía, al testo scolastico e dalla raccolta di scritti (Juan Valera) al testo di alta divulgazione. Quasi tutte le opere sono state scritte e pubblicate in Spagna e in spagnolo, da storici spagnoli (con un paio di eccezioni per opere di storici tedeschi, pubblicate in tedesco in Germania e poi tradotte in spagnolo).

   Solo in un caso (il volume Literaturas europeas de vanguardia di Guillermo de Torre, 1925, già uscito come volume secondo della collezione) la Spagna e la sua storia non sono o sono solo in piccola parte l’oggetto principale dell’analisi.

   Oltre a contenere queste e altre informazioni il catalogo di Historiadores ha però anche meriti propri, specie qualora lo si consideri come libro, nel senso che consente riflessioni che (almeno a giudicare dalle differenze di approccio all’autore e soprattutto al testo delle primo due uscite) non sarebbero altrettanto facili da individuare in presenza dei volumi della collana nella foro interezza. Dai brevi profili che nel catalogo presentano ciascun autore emerge per esempio molto bene l’eclettismo di molti degli storici spagnoli (per i quali la storia è stata attività non esclusiva e talvolta a dir poco secondaria). Si tratta di una caratteristica che merita almeno due considerazioni. La prima riguarda la natura ancillare della storia per molti di coloro che se no sono occupati. La seconda connsente di evidenziare in modo empirico una caratteristica della società spagnola e del suo atraso. La vita intellettuale degli autori riflette infatti tempi e modi di una scarsa specializzazione del lavoro intellettuale e di una relativamente tardiva istituzionalizzazione del settore, riserva di caccia, fino a Menéndez y Pélayo (un altro grande assente!), di una varietà di eruditi, aristocratici, dilettanti, etc.

Un altro dato importante è sessista: tra i quaranta storici selezionati non c’è neppure una donna! Non si tratta ovviamente di una scelta maschilista, ma di un dato di fatto: tra le attività del dilettantismo artístico e intellettuale dell’Ottocento e del primo Novecento la storia è stata, più della musica, della pittura, della poesía e della memorialistica, un genere maschile destinato a un pubblico maschile (dal che deriva, nell’Ottocento, una caratteristica disattenzione per il costume e la vita quotidiana e un’attenzione prevalente per la politica, le istituzioni, l’economia, etc.). Solo di recente e per effetto di una definitiva professionalizzazione accademica le donne spagnole hanno cominciato a fare storia, oltre che a essere oggetto di storia non personale.

Tratte dall’analisi del catalogo queste considerazioni generali, veniamo ora ad analizzare la loro prima traduzione in pratica rielle eleganti pagine dei due volumi mi finara usciti.

Il primo, il Discurso preliminar della Historia General de España di Modesto Lafuente, riflette alla perfezione buona parte di quanto fin qui detto riguardo ad autori, opere, orientamenti, curatori, etc.. L’edizione è curata da Pérez Garzón, uno storico sociale che in passato ha lavorato molto sulla “revolución burguesa” e sul nesso tra storiografia e nazionalismo e che in anni più recenti ha dedicato un’intera monografía alle politiche della memoria. Quanto a Lafuente, è «político» e «periodista de éxito» (la sua fama è legata al giornale satirico “Fray Gerundio”, che riporta alla quotidianità dell’Ottocento lo spirito del celebre personaggio settecentesco creato da Padre Isla) e attraverso il proprio fare di storico sviluppa un coerente progetto di nazionalizzazione del passato, un progetto che si estende retrospettivamente sulla lunga durata dato che, come dice il sottotitolo della Historia General de España, ricostruisce la traiettoria storica della Spagna «desde sus tiempos más remotos hasta nuestros días» segnando una svolta nel modo di narrare le vicende della Spagna e degli spagnoli. L’erudizione cristiana e il cronachismo cronologico delle tradizionali storie civili ed ecclesiastiche lascia il posto a quello che è appunto una logica discorsiva. La consapevole e deliberata articolazione progettuale di un “discorso” nazionale (che, al netto della cornice retorica, è il vera oggetto del Discurso preliminar) introduce infatti un dichiarato criterio di selezione, tanto cronologicamente abarcador, quanto logicamente stringente e quasi esclusivo. La retorica ottocentesca di don Modesto fotografa in modo fin troppo esplicito la Provvidenza che, attraverso la geografía, si fa Storia, delineando entro i confini continentali di un europeismo conservatore, quelli peninsulare della vocazione nazionale:

Si la estructura de este compuesto sistemático de territorios que nombramos Europa revela el grandioso plan del Creador para la gran ley de la unidad en la variedad […] ¿Quién no descubre en la situación geográfica de España la peculiar misión que está llamada a cumplir en el desarrollo del magnífico programa de la vida del mundo? (p. 7)

Per Lafuente la Spagna è in piccolo e in forma esemplare, ciò che I’Europa è in grande e in forma disarticolata: un contenitore di differenze predestinate a cementarsi in unità:

parece fabricado su territorio para encerrar en sí otras tantas sociedades, otros tantos pueblos, otras tantas pequeñas naciones, que sin embargo han de amalgamarse en una sola y común nacionalidad, que corresponde a los grandes límites que geográficamente la separan del resto de las otras grandes localidades europeas. La historia confirmará los fines de esta física organización (ibidem).

Come si vede, la storia è il luogo del destino e del determinismo. Tutt’altro che il regno della libertà. La libertà stessa (nella sua accezione politica e intellettuale) dipende in quest’ottica dal compiersi di una Provvidenza. La chiusa del Discurso preliminar enuncia con lucida chiarezza questo paradosso: «estando basada nuestra obra sobre los principios eternos de religión, de moral, de justicia, hace veinte años no hubiéramos podido publicar esta historia» (p. 153). Religione, morale e giustizia, Dio e Patria sono parti separate di un unicum che la Storia progressivamente realizza.

Tutt’altro clima, anche retorico, nel saggio sulle avanguardie letterarie europee di Guillermo de Torre. Ultraista, poeta, traduttore e critico letterario e artistico legato a varie riviste, de Torre e la sua prosa sono portatori di una nozione provocatoria di libertà creatrice e di Europa (e di Occidente, in senso orteguiano, dato che si parla molto anche di lspano-America e di ispano-americani) del tutto antitetiche rispetto a quelle “nazionali” e “provvidenzialistiche” enunciate da Lafuente nel Discurso preliminar. Se la prima uscita di Historiadores ci offre il modello ultratipico dello storico nazionale, la secunda uscita ci presenta il punto che, nel novero delle quaranta opere selezionate, più si allontana, per logica e línguistica, dal canone del discurso su cui la collezione nel suo complesso riflette. Calvo Carilla, che cura il volume e annota il testo con rande rigore fllologico, segnalando materiali e informazioni di apprezzabile interesse genetico, evidenzia, fin dallo studio preliminare, la doppia natura di protagonista e testimone che caratterizza il rapporto di Guillermo de Torre con i movimeti di avanguardia, restituendoci un’opera che, insieme alla Deshumanización del arte di Ortega y Gasset e a Ismos di Gómez de la Serna (che come de Torre si trasferisce poi in Argentina) rappresenta il punto più alto della riflessione ispanica sulla cultura rivoluzionaria dei movimenti.

Literaturas europeas de vanguardia è sicuramente un’opera storica, nel senso che è parte della storia e documenta a perfezione un’epoca, ma dal punto di vista storiografico è più un libro di critica (e di “nuova critica”) che un libro di storia, anche perché include, come è ovvio, una radicale contestazione del concetto di tempo che la storia nazionale assiomaticamente utilizza. Nel liminare intitolato Frontispicio de Torre dichiara una posizione storicista, contestando la nozione di eternità (evocata da Lafuente nella chiusa del Discurso) e postulando come un dovere la «fidelidad a nuestra época» e al «sentido fugitivo» che la caratterizza. Ne derivano una «devoción al presente» che ha come contraltare un «desdén negativo del pasado»: «El pasado artístico, abstractamente, no me interesa como tal, en su fría reducción museal, en su yacente esterilidad estatuaria» (p. 14).

Queste premesse trovano sviluppo, ollre che in un’ovvia rassegna dei principali “ismos”, in una riflessione teorica che coinvolge e ridefinisce il piano della retorica, del linguaggio e dello stile, con capitoli dedicati alla metafora, all’uso delle immagini, degli aggettivi, dei neologismi, dei movimenti tipografici, degli elementi ritmici, etc.

Nell’ultima parte l’aggressione alle fondamenta del discorso nazionale da logica e linguistica si fa ideologica, celebrando il nuovo mondialismo poetico tanto nelle sue varianti profetiche (le pagine su Whitman sono quanto di meglio sia stato scritto in castigliano sull’argomento), quanto nelle sue implicazioni cosmopolite. Nell’ultimo capitolo, dopo aver preparato il terreno con una riflessione sulle immagini «literario-fotogénicas», de Torre dedica spazio alla «Cinegrafía», cioè a una vera e propria «Apología del cinema» e del suo rapporto con la letteratura di avanguardia.

Paradossalmente, l’accostamento tra i due primi volumi della collezione sembrano dunque indicarci che la storia della storiografia attuale può trovare stimoli più moderni e numerosi ai margini che nel cuore della propria tradizione, sia per quanto riguarda le opere riprese, sia per quanto riguarda i criteri e i curatori delle nuove edizioni. L’approccio filologico al metalinguaggio, tradotto in note e apparati dallo scrupoloso lavoro di edizione di Calvo Carilla, fa affiorare in alcuni punti il profilo possibile di una vera e propria contrapposizione tra storia e storiografia, discorso e critica, morale e favola. Se saprà sviluppare con coraggio questa linea, mettendo in discussione gli schemi propri e quelli altrui, lavorando molto sui testi, dandosi una identità più metodologica che tematica e selezionando tra i secondi quaranta titoli un maggior numero di opere eccentriche rispetto al canone essenzialista, la portata critica della collezionele il suo contributo al dibattito culturale e storiografico non solo spagnolo (che sono altra cosa rispetto al semplice dibattito o alle polemiche sulla storia) potrà essere davvero enorme. Va da sé che è proprio questo quello che tutti, sinceramente, ci auguriamo: l’inizio di un fecondo dialogo tra le analisi del discorso proprie della storia sociale e le analisi del testo proprie della critica genetica, vessilli di cui i due volumi fin qui usciti possono essere considerati varianti moderatamente eclettiche e intelligentemente rappresentative.

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